Maurizio Romani

Da sempre per Maurizio Romani arte e sacro sono aspetti inscindibili della comunicazione pittorica. Religiosi furono gli insegnanti che contribuirono a coltivare il suo talento: prima alla scuola dell’obbligo i frati dell’Ordine dei Cappuccini di Parma, tra cui un allievo di Augusto Mussini; poi Padre Angelico (al secolo Arvedo Bertini) accademia d’elezione di Maurizio.

Nel 1986 Alfredo Gianolio e Angela Nascimbene-Cucchi curano la prima personale presso la Galleria II Voltone di Reggio Emilia. Gli anni novanta sono molto fertili e i contatti culturali si moltiplicano: Romani incontra critici come Mario De Micheli, Federico Zeri e Dario Micacchi. La frequentazione del mondo artistico si alterna al ritiro produttivo a Roteglia (Reggio Emilia) dove Maurizio è nato (1955), vive e lavora.

Conoscere profondamente il mondo vivace dell’arte contemporanea conduce la sua poetica in un percorso che si snoda tra diversi generi e tecniche, dal sacro al ritratto, fino alla tecnica incisoria, per arrivare all’approdo degli ultimi anni alla natura morta che viene apprezzata da un vasto pubblico. Ad Ancona nel 1991 Pietro Zampetti presenta una sua importante esposizione.

Sassu, Guccione, Maccari, Sughi, Ventrone, Scalco, Mastroianni sono alcuni dei suoi riferimenti non solo intellettuali ma anche umani.

Randall Morgan, a cui lo lega una profonda amicizia, lo stimolerà ad evolvere la natura morta nella direzione di un realismo giocato sulla ricerca di una nuova luce tersa, ottica, capace di denudare la realtà spogliandola di ogni orpello e rivelandola nei suoi più intimi particolari.

Il suo linguaggio pittorico si fa quindi solido e abile nel servirsi senza sottomissione della brillante perfezione tecnica che lo contraddistingue.

Al 1996 risalgono una importante personale ad Urbino curata da Silvia Cuppini e Liana Bortolon ed esposizioni permanenti a Parigi e Nizza. Si consolida il suo rapporto con l’ambiente marchigiano dove i contatti con il MAS di Giulianova e le gallerie private diventano consueti.

Lo studio e l’approfondimento della pittura figurativa dal dopoguerra a oggi in ambito europeo e non solo, incentivano il maestro a flettere il suo linguaggio nel genere del paesaggio, dove già da tempo si era cimentato con l’incisione: un paesaggio che non è una veduta, ma coniuga i profili delle colline reggiane con ambienti umani d’invenzione; case, edifici industriali che stravolgono la quiete verdeggiante della natura e conservano la luce dettagliatamente impetuosa della gamma coloristica di Romani. Nel 2004 la lirica arcana del “Cantico dei cantici” fornisce l’ispirazione per una serie di tele dove il colore viene abbandonato in favore del bianco e nero, della matita dal tratto leggero e nitido, un trait d’union tra l’incisione e la pittura. Ancora una volta il sacro e il profano si incontrano e sublimano il mondo della materia in un’atmosfera algidamente misteriosa.

Iolanda Gibellini

Anno di Nascita1955ProvenienzaRotegliaTecnicaPittura su tela | Pittura su carta